Le pareti della biblioteca della ex scuola Diaz di Porto Recanati sono tappezzate di vecchi libri ordinati su scafali di metallo.
È il 18 novembre, tardo pomeriggio. Su sedie di plastica nera, tutte occupate, siede un uditorio di più di una cinquantina di persone. Alcune ascoltano in piedi, appena fuori dalla porta spalancata. In maggioranza sono donne. Gli uomini sono cinque. Sei, se consideriamo don Luca, che però fa parte dei relatori. Tema dell’incontro: ‘Non chiamatele baby gang. Quando il disagio si trasforma in ostilità e sfocia in violenza. Possibili risposte dal mondo adulto’.
In questo tratto di costa, villaggi di pescatori convertiti in centri turistici e artigianali in un panorama tra i più belli e quieti dell’Adriatico. Il mare, lì a due passi, è calmo, mentre in certe notti la tempesta infuria nell’animo di frotte di ragazzini che si riversano sulle piazze in preda all’inquietudine.
Stasera, l’odore di salmastro accompagna taciti interrogativi formulati con la sola presenza.
Appuntamenti come questo, in questo periodo, si ripetono un po’ ovunque, nelle Marche e fuori, e sempre richiamano un pubblico eterogeneo e numeroso. A fine novembre, a Tolentino, ad affrontare le tematiche legate all’adolescenza ci sarà lo psicopedagogista Filippo Sabattini, direttore della sede di Pesaro dell’associazione Wega; il 21 novembre, proprio a Pesaro, organizzata dall’Ordine dei Giornalisti, la conferenza riguarderà le ripercussioni della violenza vissuta in famiglia sui minori. In altre sedi, con la partecipazione dell’Asur, della stessa PARS e il patrocinio della Regione Marche grazie al progetto Hazzard, si discute delle dinamiche d’azzardo nei videogame.
Dopo la pandemia, risse, violenze e vandalismi sono aumentati anche qui in provincia. Il disagio è di tutta la società, e le crisi si ripercuotono maggiormente sui più fragili.
Dalla fine del lockdown, in queste prime occasioni di incontro ‘dal vivo’ tra adulti, all’abbandono scolastico, al susseguirsi di notizie di adolescenti finiti in cronaca. Si cercano spiegazioni.
Baby gang, bulli o solo ragazzini ‘come ce ne sono sempre stati’? Allora, il coltello nascosto nel marsupio, cosa c’entra?
Tra lo scandalizzarsi e il minimizzare, “anche noi, alla loro età…”, i modi usati per definirli, questi gruppi di ragazzini, sono tanti quanti sono i modi di vedere il mondo. Quanti sono i gradi di responsabilità che siamo capaci di scalare. Quante sono le età da cui, questa parte di nuova generazione, la si guarda. In gran parte dettati da vecchi cliché buoni per un mondo che non esiste più. Il nuovo sfugge. Servono altre chiavi di lettura per riconoscere le forme del disagio: dipendenze, comportamenti violenti, socializzazione deviata. Il ruolo di genitore, vecchio come l’umanità, sotto la forte spinta della disintermediazione generale, sembra perdere la presa e cerca nuovi strumenti per comprendere e intervenire.
Questa sera, Silvia Serrani, pedagogista e referente di Unità di strada della Cooperativa sociale PARS con sede a Civitanova e attiva nelle province di Macerata e Ancona, siede con Ludovica Cesari, psicologa e psicoterapeuta del Servizio di prevenzione delle dipendenze, e Don Luca, del Consiglio dell’Oratorio Don Bosco.
Il tempo che viviamo, dice Ludovica Cesari, è quello del tempo manipolato, della tecnologia persuasiva secondo il modello del micro marketing: elaborazione dei dati e contenuti personalizzati proposti all’infinito.
La violenza degli adolescenti in una società complessa testimonia la difficoltà di immaginare il proprio futuro. Un sostegno è nel gruppo, ma tante realtà sono caratterizzate da povertà culturale, assenza di senso ed esposizione a parole d’odio. Mentre gli adulti, di fronte a tecnologia, influencer e sottoculture in apparenza indecifrabili, sono sempre più confusi e pieni di contraddizioni.
La pandemia, sottolinea la psicologa, è stata solo il ‘detonatore’ di fragilità già presenti. La funzione degli adulti è quella di fornire un esempio che insegni ai ragazzi a collaborare e a gestire la frustrazione determinata da una società in evoluzione.
Ma quanto, questa società e questi adulti, sono in grado di reggere lo stress del cambiamento?
Domanda resa ancor più pertinente se, accanto alla pandemia, pensiamo alle altre tre cause di crisi sovrapposte in soli tre anni, – l’impennata del costo della vita, la guerra in Europa, i costi dei servizi energetici, – messe in fila dall’ultimo rapporto CENSIS subito dopo questo incontro.
Il sentimento di insicurezza e di ‘malinconia sociale’ rilevati, costringe tutti alla coscienza, vi si legge, della “fine del dominio onnipotente dell’«io» sugli eventi e sul mondo” dove l’«io» è “costretto a confrontarsi con i propri limiti quando si tratta di governare il destino.”
Così, mentre gli adulti si ritirano nella disillusione, nella violenza dei fragili educati nel consumismo si distillano rabbia e impotenza.
Riprendendo il titolo dell’incontro, Silvia Serrani invita a smettere di definirle ‘baby gang’: le bande d’oltreoceano hanno la finalità di controllo del territorio. Qui ci sono gruppi di strada, composti di giovanissimi in cerca di una identità, che tentano di compensare la frustrazione dovuta alla propria naturale fragilità coniugata alla ferita narcisistica prodotta dall’attuale modello economico.
Inoltre, spesso in famiglia si adultizzano i bambini e si colpevolizzano gli adolescenti, che trovano un senso nel bere, nel fumare e nel picchiare.
In un mondo in cui prevalgono, enumera Serrani, materialismo, consumismo e individualismo considerate le chiavi per il successo, sono richieste prestazioni sempre più alte.
Ma il continuo inseguire il modello impossibile fuori da sé genera insoddisfazione generale, sintomo di ansia e depressione, basso livello di autostima, basse capacità emotive, life skills pari a zero e, soprattutto, pochi momenti di emozioni positive. Un mood non proprio ideale per coltivare capacità emotive, trovare momenti di emozioni positive e promuovere abilità sociali e affettive.
Ne emerge una sessualità vissuta in maniera predatoria nei confronti di una donna concepita come oggetto e motivo di ostentazione personale, dove l’unica figura cui si riconosce rispetto è la madre.
Quella sensazione di non essere mai adeguati è insostenibile. Va curata.
Tutto è finalizzato all’ottenimento di quanto proposto, oggetto o modo di apparire: se rispondo alle richieste, io esisto. Il corpo è un manichino da vestire con abiti firmati e l’autostima è regolata solo sull’esteriorità. Auricolari indossati immediatamente fuori da scuola, ritmiche lente, ossessive e ipnotiche. Sotto il cappuccio, mediante i motivi condivisi si svolge un dialogo solitario, si regola lo stato emotivo, si compensa la frustrazione.
La ferita narcisistica è dolorosa. Va sedata. Qui il silenzio dell’uditorio sembra farsi più profondo: musica e droga.
Dagli anni Cinquanta al 2020, prosegue Serrani, c’era la droga dello sballo, la coca, per raggiungere performance sempre superiori. Oggi prevalgono le droghe sedative, xanax, mariuana, farmaci calmanti, come la lean o purple dark, codeina, contenuta nello sciroppo per la tosse, mescolata a sprite, che produce un liquido viola con effetti di stordimento, sonnolenza, disabilità motoria e dissociazione. Uno stato correlato a quello evocato dal genere musicale oggi in voga: il trap, veicolo di modelli, stili e valori incarnati dal gruppo, alternativi a quelli della famiglia e della scuola.
Il gruppo è il fattore aggregante, dice Serrani. è sostegno al processo di costruzione dell’identità, condivisione e appartenenza, identificabili nell’immagine, taglio di capelli e abbigliamento, e soprattutto nei comuni interessi e nello stile di vita.
Nei testi di alcune canzoni del genere musicale trap, i temi sono vita di strada, criminalità, povertà, abbigliamento trasandato anche detto ‘maranza’ – termine derivato dallo slang milanese -, con cappucci e marsupio, dove all’evenienza mettere coltelli e dosi, e riferimenti alla rhum e codeina e alla ‘tosse canina’.
L’analisi di Serrani, si conclude con il riferimento ad un ultimo punto: il mondo social.
La tecnologia è entrata nella nostra vita e il virtuale tende sempre più a sovrapporsi fino a sostituire la realtà. Si sa, non sono gli strumenti a dover essere demonizzati, invece è indispensabile imparare ad usarli in modo consapevole.
Periodicamente, i media riportano pareri di autorevoli conoscitori del web.
Tra questi Gian Luca Comandini, 30 anni, laurea in economia, docente alla Sapienza e alla Università telematica ‘G Marconi’ di Roma, opinionista Rai. È considerato uno dei massimi esperti e divulgatori italiani di tecnologia Blockchain, letteralmente catena di nodi, e l’abolizione definitiva della mediazione. Sulla pagina del suo sito si legge “Il mondo ‘3.0’ è ormai alle porte e nel 2030, come dire domattina, il 75% della nostra vita sarà virtuale”.
Le nuove generazioni il domani ce l’hanno nel Dna. Perciò, d’accordo con Serrani, sappiamo che è sbagliato, maledire strumenti tecnologici, social e videogiochi. Questi ultimi, in particolare, svolgono l’importante compito evolutivo di permettere la sperimentazione dell’esperienza. Dipende sempre dal loro uso.
A noi, per inciso, viene in mente che lo stesso compito è svolto della lettura, ma la modernità esige qualche mutamento.
Serrani intanto conclude. Immutabile, invece, è il principio che l’esperienza, come un tempo quella di un buon libro, anche delle avventure di un videogame, è significativa se è condivisa. I follower, i like svolgono questo compito. Lo spasmodico bisogno di essere visti e ascoltati si esprime nella pornografizzazione di ogni esperienza personale, che ha abbattuto ogni separazione tra pubblico e privato. Per questo nell’utilizzo di videogame e i social i ragazzi, esperti ma non competenti, non vanno lasciati soli.
Nell’incontro di Porto Recanati, la sintesi di don Luca, che all’oratorio Don Bosco sulle dinamiche giovanili di esperienza ne ha accumulata tanta, sembra nello stesso tempo semplice e impietosa.
“Il futuro – dice – è l’imprevedibile, figurarsi quello di un adolescente. Ma – aggiunge -, ogni ragazzo è uno specchio. I ragazzi più trasgressivi nascondono una fragilità profonda. Aiutare i ragazzi a superare i traumi implica riflettere sull’adulto. I bambini, i giovanissimi chiedono di essere visti, amati e pensati. È necessario ascoltarli. Ascoltare le loro emozioni i loro sogni e anche i loro fallimenti, senza pensare di saper rispondere a tutto, ma sostenere, affiancare.
Uscendo dalla biblioteca nell’aria umida di salsedine, sembrano risuonare le parole di Danilo Dolci. Era il 1974 e nel suo Poema umano scriveva:
C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo: forse c’e chi si sente soddisfatto così guidato.
C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’e pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.
C’è pure chi educa, senza nascondere l’assurdo
ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.
Elisabetta Mascellani