
IL REDENTORE (foto pexels)

Ultimi giorni di vita del Redentore.
Come andarono i fatti. – 2^ parte
© Alfredo Gallerati
–Venerdì santo – Stava passando la notte di giovedì. I preti, gli scribi e gli anziani, dopo qualche ora di riposo, terminate le preghiere, tengono un altro incontro. Questo perché la Legge ebraica dichiarava false, le “sentenze” pronunciate di notte. Bisognava rinnovarla per la forma, senza prevedere nessun difensore per l’accusato, né alcun testimone. Gesù viene quindi tratto fuori dalla “bassa fossa” sfinito dopo la notte atroce di giovedì e sfigurato. Il Sommo Sacerdote, Caifa lo interroga: < Sei, Tu il Cristo?>. Gesù, lo guarda e risponde:< Se vi dico di sì, non mi crederete e se v’interrogo, non risponderete e non mi rilascerete…>. Aggiunge poi:<… Ormai il figlio dell’uomo siederà alla destra di Dio onnipotente >.
Il Sommo Sacerdote Caifa, chiede ancora:< Tu sei dunque il figlio di Dio? >.

Gesù risponde: < Voi, l’avete detto. Si, lo sono! >. I Sacerdoti concludono :<… L’abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca. Di quali testimonianze abbiamo bisogno? >. Con questo, confermano la loro sentenza di morte!
La città di Gerusalemme, dormiva ancora quando, per la condanna a morte di Gesù, nessun’altra voce dei Sacerdoti ha protestato.
Mentre si formava un piccolo “corteo” che accompagnava Gesù al Pretorio, l’antico palazzo di Erode; da quelle parti passavano solo dei contadini che rientravano dalla campagna spingendo gli asini, davanti a loro, carichi di legumi raccolti.
Pilato era un “mattiniero”. In questo periodo di feste pasquali, la città sovrappopolata, dava preoccupazioni a Pilato che era anzitutto scettico e non si occupava di Gesù! Arrivati al Palazzo Pretorio, i sinedristi avvertono Pilato che hanno bisogno di spiegargli una situazione urgente. Ma non possono entrare nella residenza di Pilato, considerata una “casa pagana”, quindi si macchierebbero di peccato. A questo punto, Pilato si affaccia all’esterno ed invita i sinedristi ad avvicinarsi alla gradinata esterna.
Uscito all’esterno, Pilato li osserva e chiede loro: < Che accusa portate verso questo uomo?>. Questo perché, l’Impero Romano concede ai sinedristi il diritto di condannare ma le loro condanne devono essere sottoposte a conferma di Pilato. Ma qualcuno dei sinedristi si fa avanti e dice:< … Egli afferma di essere Dio, ha mandato all’aria la nostra valutazione ed ha moltiplicato i miracoli che ci danno ombra>. < Se non fosse un malfattore non lo avremmo consegnato a te>.
A questo punto, Pilato ribatte: <…. Prendetelo e giudicatelo secondo la vostra Legge >. Qualcuno di loro, aggiunge: <… Non abbiamo il diritto di giudicare. Non ci è permesso di uccidere nessuno >.
La discussione si sposta quindi sul terreno politico. Qualcuno di loro dice: < Abbiamo trovato quest’uomo che turbava la nazione, impedendo di pagare i tributi a Cesare e definendosi “Cristo Re”>.
Di fronte a queste frasi, Pilato finge di prendere sul serio queste stoltezze e rientra nel palazzo per interrogare Gesù. Il figlio di Dio era muto, con le mani legate, gli occhi bassi e con due pretoriani ai fianchi. Allora, Pilato gli chiede:< Sei tu il Re dei Giudei?>. Gesù lo guarda, gli risponde: < Dici queste parole da te solo, oppure altri ti hanno suggerito questa domanda? >. A quel punto, il romano Pilato, irrigidito risponde: < Sono giudeo, io? La tua nazione e i Sommi Sacerdoti, ti hanno consegnato a me. Cosa hai fatto? >. A questo reuccio come Pilato, Gesù risponde:< Il mio Regno non è di questo mondo, i miei servi avrebbero voluto combattere così io non fossi consegnato ai giudici. Ma il mio Regno non è di qui!>.
Pilato riprende: < Tu sei dunque Re?>. Gesù risponde: < Tu, lo dici, sono Re! Sono nato e venuto al mondo per testimoniare la Verità >.
Riprende Pilato:< Che cos’è la Verità?>. In questo modo, il Pilato sembra un topo campagnolo che, uscito dalla tana, si trova davanti il Monte Bianco.

Così, Pilato torna al balcone turbato, con sudore sulla fronte e dice: < Non trovo, in Lui, nessuna causa di condanna>. Intanto zeloti e “banditi” davano filo da torcere alla polizia perché puntavano a presentare Gesù come un agitatore, così com’era considerato. Alla fine, urlano: < Lui, solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dalla Galilea fin qui>. Erode Antìpa, figlio di Erode ed assassino di Giovanni Battista, si trovava a Gerusalemme con sua moglie Erodìade che lui aveva rubato al fratello, per praticare con lei le sue devozioni.
A tal punto, i soldati legano Gesù ad una corda, lo tirano verso il Palazzo degli Asmonei. I Sacerdoti li seguono a grandi passi. Intanto, Erode che aveva sentito parlare da tempo dei miracoli di Gesù, più volte si chiedeva: ma questo “taumaturgo “non è forse Giovanni Battista? Forse era per questo che Giovanni Battista desiderava tanto vedere il Gesù Nazareno?
Arrivato nel palazzo degli Asmonei, anche Erode Antipa, rivolge diverse domande a Gesù…che non ha dato nessuna risposta. Erode Antipa, irritato dal silenzio…si pronuncia dicendo: < Gesù è un pazzo che gioca a fare il re >. Quindi Antipa lo rimanda da Pilato al quale manda anche un biglietto, scritto in termini cortesi, che piacque a Ponzio Pilato il quale si riappacificò con Erode Antipa e sua moglie Erodìade.
Sacerdoti e farisei hanno fretta di finire, perché si avvicina l’ora in cui devono partecipare a delle funzioni. Intanto, continuano tutti a gridare davanti al pretorio. Lo stesso Ponzio Pilato, vuol finire. Si allaccia la toga, siede sul suo seggio, quindi dice: <…. Mi avete portato quest’uomo perché incitava la nazione verso la rivolta e quando io l’ho interrogato davanti a voi tutti, non l’ho trovato colpevole di nessun delitto di cui voi lo accusate. Nemmeno Erode lo trova colpevole, Infatti, vi ho mandati a lui e nessuno ha dimostrato che quest’uomo meriti la morte! Lo manderò assolto, dopo averlo castigato>.
In quel tempo, come disse San Luigi, la giustizia era ancora molto lontana.
Ricordiamo che, a quel tempo, durante le feste della Pasqua ebraica, Pilato doveva liberare un prigioniero scelto dal popolo. In carcere c’era un delinquente di nome Barabba. Seduto sul suo seggio d’avorio drappeggiato con il suo ampio mantello, Ponzio Pilato chiede: < Chi volete che liberi, Barabba o Gesù chiamato Cristo? >. Proprio in quel momento, sua moglie Claudia Procula mandò a Pilato un suo messaggio :<…. Spero che non vi sia nulla fra te e questo giusto, perché oggi ho sofferto in un sogno per causa di Lui>.
Allora Pilato chiede di nuovo:< Quale dei due volete che liberi?>. Si solleva una voce con clamore ed urla: < Barabba, non Gesù!>. Pilato risponde:< Che farò dunque di Gesù?>. Non gli chiedono neppure la morte di spada ma l’atroce supplizio riservato agli schiavi e ai grandi criminali!
Pilato allora ripete: < Non trovo in lui nulla che meriti la morte. Lo punirò e lo lascerò libero >. Ma i signori ed i loro servi urlano:< Crocifiggilo! >.
Intanto, un uomo esce di prigione e cammina, a fronte alta, le vie di Gerusalemme: è Barabba.
Gli accompagnatori, trascinano Gesù, nel cortile, lo spogliano sino alla cintura, lo legano ad una bassa colonna e cominciano a flagellarlo.

Dopo questa flagellazione, Pilato si rivolge verso Gesù e, con bocca amara, pronuncia la classica frase: < IBIS AD CRUCEM> (Andrai alla croce). Quindi, per vendetta dei deboli, ordina che due malfattori già prigionieri, siano crocifissi accanto al Re dei Giudei e che il titolo da apporre sulla tavoletta (bianca) inchiodata sulla croce porti questa frase: < Gesù Re dei Giudei >.
Alle nove circa del mattino di venerdì, un falegname aveva appena inchiodato una sull’altra due travi che pone brutalmente sulle straziate spalle di Gesù! Dietro, seguono i due banditi condannati al patibolo: Gesta e Disma. Quest’ultimo detto il “buon ladrone” che supplicò Gesù di ricordarsi di lui quando sarebbe arrivato nel Suo Regno.
Si forma la fila, con il centurione romano che precede i condannati ed ha la spada sul fianco, il pugnale sulla cintura. Una folla di persone composta da abituali frequentatori del Sinedrio e da curiosi che seguono accalcandosi. Raggiungono così una delle porte occidentali di Gerusalemme che oggi si trova in un angolo rientrato del muro di cinta, su una vetta attualmente alta circa sei metri.
L’araldo che guida la fila, grida:<… Gesù di Nazareth, condannato per aver bestemmiato >.
In queste ore, si fece sempre più forte il mistero per cui nessun discepolo, nessun amico di Galilea, nessun miracolato che gli dovevano la vita e la salute, si fece avanti per liberarlo.
San Matteo, uno dei Suoi discepoli, raccontò…. Adesso, Giuda che lo aveva consegnato, fu colpito dal pentimento e consegnò i trenta denari d’argento ai Sommi Sacerdoti dicendo:< Ho peccato consegnando sangue innocente! >. Ma i sacerdoti risposero :< Che ci importa? >. Allora Giuda, avendo gettato i denari d’argento nel santuario, si ritirò in silenzio e andò verso la valle dell’Hinnon. Attaccò ai rami di un albero di fico, la cintura in cuoio e s’impiccò.
Alcuni romanzieri hanno tentato di fantasticare spiegando la fine di Giuda.
Gli uomini che avevano raccolto i trenta denari gettati via da Giuda, comprarono il terreno del vasaio presso cui Giuda si era tolto la vita e ne fecero un cimitero per stranieri morti in Gerusalemme.
Ormai pronunciata da Pilato la condanna, i Sacerdoti hanno avvisato il centurione romano che bisognava aver finito prima del tramonto cioè prima di sabato.
Anche se la data della crocifissione non è stata definita con certezza, le ipotesi più note l’assegnano al 27 aprile del 31 d.C. ed era avvenuta appena dopo la Pasqua ebraica.

Il corteo che accompagna i condannati al Golgota, è guidato dal centurione a cavallo. C’è da dire che del percorso completo si conoscevano solo le ultime due “stazioni”: il Calvario e la tomba.
Il Golgota non è una collina, ma un percorso di rocce alto cinque metri, arrotondato in cima, in forma di cranio. Infatti è questa l’origine romana del suo nome: Calvario.
Il corteo si è già fermato poiché Gesù è già caduto più volte. Infatti il centurione temeva che Gesù spirasse prima di arrivare sul Calvario. Perciò il centurione, intende che il corteo arrivi al Calvario, quindi ferma il contadino Simone di Cirene che stava tornando dai campi e gli dice di portare la croce di Gesù. Questo gesto ha reso immortale il nome di Simone di Cirene.
Alcune donne, per strada, si uniscono al corteo mentre si lamentano piangendo. Volgendosi verso di loro, Gesù dice: < Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me ma su voi stesse e sui vostri figli . Un giorno si dirà “felici le sterili, le viscere che non hanno concepito” >. Arrivarono così al Calvario.
Il centurione levò in alto il braccio e ordinò:<Alt!>. I soldati esecutori salirono, in pochi passi, il “luogo del cranio” spingendo in avanti i due ladroni; poi Simone di Cirene e la più disperata delle vittime: Gesù.
Il centurione, colpito dalla tragica debolezza di Gesù, accettò dalle mani delle donne pie, un preparato “narcotico” e lo fece offrire a Gesù. La tradizione ebraica, tollerata dai romani, offriva sempre al condannato vino e mirra che, con una certa ebrezza, attenuava il dolore. Gesù si bagnò le labbra bruciate dalla febbre, ma rifiutò di bere. Quindi i soldati lo crocifissero.
Era un supplizio che aveva previsto tutto per moltiplicare i tormenti e tardare la morte all’infinito.
Nella crocifissione, a volte l’agonia durava diversi giorni perché nessuna parte vitale veniva colpita.
La croce, alta circa il doppio della statura media di una persona, fu drizzata dentro una buca della roccia, ancora visibile sul Calvario. Rapidamente la vittima fu spogliata delle vesti, ormai attaccate alle ferite. Quattro chiodi fissarono mani e piedi alle travi. Il sangue colava in gocce pesanti, sull’erba in fiore. Si macchiavano anche i calzari dei legionari, le loro braccia e le mani. Sulla croce apparve un sottile filo rosso delle gocce di sangue che scivolavano sul legno della croce.
Il peso del corpo gravava sulle ferite ancora vive e, con la testa chinata in avanti, generalmente il condannato in croce, veniva preso da una febbre massacrante ed una sete ardente. I carnefici avevano il diritto di dividersi le spoglie del crocifisso. Ma le parti erano diverse perciò furono tirate a sorte, prima di tutto la tunica senza cucitura fatta da Maria.
Mentre i carnefici erano seduti tra fiori rossi, gettavano i dadi e prendevano da un secchio, la loro solita bevanda “acqua e aceto”. I sinedristi si avvicinarono alla croce, osservarono e decifrarono la tavoletta inchiodata alla cima della croce. Iscrizione redatta in latino :<Gesù di Nazareth, Re dei Giudei>. Queste poche ultime parole riassumono i torti formulati dagli accusatori. Ma loro la interpretano come vendetta di Ponzio Pilato. A lui, mandano subito una delegazione per dire: < Non scrivete, “Re dei Giudei” anche se Egli ha detto: < Io sono il re dei Giudei>. Pilato, certo di essere stato capito, risponde: < Quel che ho scritto, ho scritto>:
Così, mentre si allontanano, scrollano la testa verso il crocifisso e dicono: < Tu che distruggi il tempio di Dio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso. Se tu sei il figlio di Dio, scendi dalla croce>.
I due ladroni crocifissi insieme a Gesù erano Gesta (o Gestas) e Disma, conosciuti anche come “il cattivo” e “il buon” ladrone. Gesta avrebbe insultato Gesù mentre Disma, secondo la tradizione, si sarebbe pentito e avrebbe chiesto a Gesù di ricordarsi di lui quando sarebbe entrato nel suo regno.
Ai loro insulti, così come a quelli della folla, Gesù risponde: < Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno>. Il buon ladrone, Disma, volge la testa verso il suo compagno di brigantaggio e mentre spira, sussurra:< Nemmeno tu, temi Dio.
Tu che sei condannato allo stesso supplizio? Per noi, è giustizia perché riceviamo quello che merita ciò che abbiamo fatto ma Lui non ha fatto nessun male>. Dopo queste parole, il buon ladrone Disma volgendosi verso Gesù, mormora le sue ultime parole: < …. Signore, ricordatevi di me quando sarete nel vostro regno!>.
Poco dopo, Gesù è stretto nell’angoscia dell’agonia e dice, con voce forte:< Eloi, Eloi, lammà sabacthani ?>. < Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? >.
Erano appena le tre, quando Gesù mormora le sue ultime parole: < Tutto è consumato! Padre, fra le tue mani rimetto il mio spirito>.
Erano le tre. La terra trema e Gesù torna nel suo regno.
Dopo il tremore della terra, riapparve la luce e tornò a brillare il sole. Avevano tre ore per distaccarlo dalla croce e seppellirlo. Intanto, il sinedrista Nicodemo e il decurione Giuseppe d’Arimatea sentirono ridestarsi il loro coraggio. Il sinedrio non rimase inattivo. Alle ore sei e trenta circa, un sacerdote, in piedi davanti al sole al tramonto, ha suonato la tromba per annunciare l’arrivo del solenne sabato.
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