
PAOLO MAZZARELLI a Siracusa
Edipo è decaduto da re qual era e ora si ritrova esiliato, cieco e costretto a mendicare. Decide di andare verso Colono, un sobborgo di Atene perché sente che la sua morte è vicina. Parlando con Teseo, re di Atene, gli svela che la sua decisione di seppellirlo nel bosco di Colono sarà garanzia di pace e sicurezza. L’Oracolo infatti aveva predetto a Edipo che, anche dopo la morte, il suo corpo avrebbe avuto un potere, ovvero proteggere Atene in caso di guerra. Dal 10 maggio fino al 28 giugno andrà in scena al Teatro Greco di Siracusa l’ultima tragedia di Sofocle, EDIPO A COLONO con la regia di Robert Carsen. Questa pièce per il regista canadese non è il primo approccio alla storia del noto personaggio mitologico, anni fa aveva affrontato la regia di un’altra tragedia, “Edipo Re”, che aveva ottenuto un ottimo successo. “Edipo a Colono” è stata scritta da Sofocle quando aveva ormai novant’anni ed è stata messa in scena postuma. In un ricco cast troviamo anche Paolo Mazzarelli (Ph Maria Pia Ballarino), interprete intenso come pochi.

Cosa ti ha portato ad accettare questa sfida teatrale? Come si fa a non desiderare un’esperienza del genere? Tre mesi di lavoro a Ortigia, un messe e mezzo di repliche al Teatro Greco, affrontando uno dei capolavori di Sofocle, il tutto nelle mani di uno dei più grandi registi del mondo. Inoltre questo EDIPO A COLONO – il testo che affrontiamo quest’anno tre anni dopo l’EDIPO RE – è il secondo capitolo di una trilogia che il prossimo anno si chiuderà con ANTIGONE, sempre qui a Siracusa e sempre con Carsen a guidarci. Creonte, il mio personaggio, è l’unico presente in tutti e tre i testi. Un percorso triennale dentro il mondo di Sofocle -al Teatro Greco di Siracusa- è qualcosa che capita una volta nella vita, e non accettare una sfida simile sarebbe da pazzi.
Recitare al Teatro Greco di Siracusa cosa significa per te? Significa che ho avuto fortuna. L’emozione che ti dà questo palco è difficile da spiegare a parole. Ogni teatro ha la sua energia e quella che ti comunica il Teatro Greco, già dal momento in cui ci metti piede per il primo giorno di prove, è qualcosa che non dimentichi. Nelle tragedie greche si parla molto del rapporto tra l’uomo e il divino ed entrare al Teatro Greco ha a che fare con questo. Ci si sente piccoli, eppure in contatto con qualcosa di enorme che ci sovrasta e ci contiene. Prima di entrare in scena basta fare un respiro profondo, guardare in alto e si viene attraversati da tutto questo. In poche parole: è stupendo.
“Edipo a Colono” è, tra le tragedie di Sofocle, una delle meno rappresentate, come schiacciata tra l’immensa grandezza della precedente “Edipo re” e il fascino più moderno e comprensibile di “Antigone” . Perché, secondo te, è così difficilmente rappresentabile? Perché si tratta di un testo speculativo, quasi del tutto privo di azione. La trama si potrebbe riassumere così: “Edipo, ormai vecchio ed esule, arriva a Colono e va incontro alla morte”. Ovviamente esagero, ma i temi della tragedia passano tutti attraverso il cammino interiore del suo protagonista (interpretato da Giuseppe Sartori) che alla fin, nell’accettare quello che il destino gli riserva, quasi si eleva a santo o a semidio. Non c’è qui l’intreccio perfetto di EDIPO RE o di ANTIGONE, due tra i meccanismi teatrali più perfetti e potenti mai scritti. C’è però una analisi della condizione umana che, per chi è disposto ad ascoltarla, entra come il coltello nel burro. L’unico personaggio che porta azione, a ben vedere, è proprio il mio Creonte, che infatti viene rispedito a casa. Più che all’azione, EDIPO A COLONO guarda alla meditazione. Insomma è un testo più difficile, sia da mettere in scena che da guardare, ma non trovo che sia meno bello. Certo oggi non è facile parlare al pubblico di questi temi, non tutti saranno disposti a seguire un discorso del genere abituati come sono al bombardamento di immagini e suoni, quasi tutti inutili e tossici, che la realtà ci sbatte in faccia. Ma se riusciremo a toccare la mente e il cuore di chi ci ascolta… faremo del nostro meglio, vedremo come andrà.
Come ritroviamo Edipo in questa tragedia che portate in scena? Edipo è sempre Edipo: rappresenta l’emblema di colui al quale è toccato un destino tragico. Edipo si ribella, sbaglia, è dilaniato, umiliato e straziato, ma quando alla fine accetta il suo destino, diventa in qualche modo un santo, una figura che si erge al di sopra della condizione umana. Il tema della tragedia è proprio questo: il rapporto tra l’uomo e il suo destino, il rapporto tra la condizione umana e ciò che la contiene, o la sovrasta. Dentro questa dinamica, che si svolge tutta nell’animo di Edipo, si muovono gli altri personaggi del dramma, e soprattutto Antigone, sua figlia. Sarà lei (interpretata da Fotinì Peluso) a proseguire insieme a Creonte il discorso nell’episodio successivo, ANTIGONE. Tutto il teatro di Sofocle ci ricorda che non siamo padroni di nulla, qui in terra, e che siamo qualcosa di infinitamente piccolo difronte al divino, qualunque cosa il divino sia o non sia. Le stesse conclusioni a cui sta arrivando la scienza, con 2500 anni di anticipo.
Tu vesti i panni di Creonte. Come lo descriveresti? E’ prima di tutto un uomo di potere e in quanto tale bada al sodo. Crede agli Dei e agli Oracoli, ma ci crede nella misura in cui gli conviene. E’ il grande oppositore di Edipo nella trilogia: Creonte nasce ricco e potente e non ha intenzione di rinunciare ai suoi privilegi. Inoltre è un grande oratore, ha una estrema capacità di manipolare il corso degli eventi o il senso delle cose, per girarli a suo vantaggio. Non si sente sottomesso ad un destino più grande di lui, è convinto di avere ragione e va in missione per raggiungere quelli che reputa essere i suoi legittimi obiettivi. Il suo unico dio – mi sia concessa una licenza – è la realpolitik. Insomma, Creonte assomiglia ai politici di oggi e non è un caso che Robert Carsen mi faccia entrare in scena con un abito contemporaneo: un completo elegante, inappuntabile, da uomo delle istituzioni.
In cosa consiste la modernità di “Edipo a Colono”? Quando mi fanno questa domanda cito sempre una risposta folgorante di Umberto Galimberti. Gli chiesero “in cosa consiste l’attualità di Gesù?” e lui rispose ”l’attualità non è un valore e Gesù non è attuale, è eterno”. Ecco, direi che la modernità non è un valore e che Sofocle non è moderno, ma eterno.
Viene esplorata la figura umana in declino, oltre che una riflessione sulla natura della sofferenza e del destino. Come vengono viste da Sofocle? E’ vero che la figura umana di Edipo è presa qui nel momento della vecchiaia e poi della morte, e quindi nel suo declino, ma è anche vero che in questo passaggio Edipo ha un momento di ascensione, di illuminazione. E’ in questo doppio movimento ascensionale, uno verso il basso e uno verso l’alto, che sta la forza, il senso, il miracolo del testo.
Sono tante le tematiche affrontate come la capacità umana di resistere alle avversità, la ricerca di un senso nella vita e la trasformazione di una figura sconfitta in un protettore divino. Una rappresentazione teatrale come può materializzare sul palcoscenico tutto questo? Servono tante componenti: un luogo giusto, un grande regista, un protagonista all’altezza, una squadra di attori che tenga il gioco, una crew artistica che aiuti lo spettacolo a volare, una produzione che permetta e sostenga tutto questo. Non sta a me giudicare, ma credo che nella versione di Carsen ci siano molte di queste componenti.
Cosa speri arrivi al pubblico? Quando entro in scena da attore cerco di “farmi il viaggio”, di vivere l’esperienza dello stare in scena in modo profondo e onesto, lasciandomi attraversare dalle parole, dalle emozioni, dalle circostanze. Dopo di che, se sono aperto e presente, spero che al pubblico arrivi qualcosa di quello che arriva a me. Il discorso è ovviamente diverso quando scrivo delle drammaturgie, o quando ho provato e fare dei lavori da regista, ma non è questo il caso, per fortuna.
Nuovi progetti? Vengo da anni con tanto teatro, sono passato da Pinter a Shakespeare, da Sofocle a La Capria, passando anche per lavori miei. Nei prossimi mesi mi sono tenuto più libero, ho bisogno di un tempo per me, e magari per dare spazio al cinema che mi piacerebbe praticare più di quanto non faccia. Nel 2026 tornerò a Siracusa per proseguire con ANTIGONE il viaggio iniziato insieme a Robert Carsen tre anni fa e sarò protagonista come attore di un mio testo che andrà in scena in un contesto importante con la regia di Elena Gigliotti, una artista che stimo immensamente, ma di questo lavoro non voglio dire nulla, per ora.