
il regista Mauro Mancini e il suo film MANI NUDE

Davide, un ragazzo di buona famiglia, occhi da bambino e corpo da adulto, una notte viene rapito e rinchiuso dentro un cassone buio di un camion. Finisce prigioniero di una misteriosa organizzazione che lo costringe a lottare, a mani nude, in combattimenti clandestini estremi, che si possono concludere in un solo modo: con la morte di uno dei due sfidanti. In quell’universo alieno e spietato, Davide è costretto a spogliarsi della sua umanità per sopravvivere, seguendo le istruzioni di Minuto, un carceriere e allenatore di altri uomini senza speranza né futuro. Pian piano emerge, però, un legame segreto tra il ragazzo e l’uomo, che si rivela la sua unica possibilità di salvezza. E se da quella prigione si può forse trovare il modo di fuggire, altrettanto non può accadere con il destino né con le conseguenze delle proprie azioni. Presentato alla Festa del Cinema di Roma e fuori concorso al Milano Film Festival, dal 5 giugno è in sala MANI NUDE di MAURO MANCINI, con Alessandro Gassmann e Francesco Gheghi. A completare il cast, anche Fotinì Peluso, Paolo Madonna, Giordana Marengo e Renato Carpentieri. Prodotto da Eagle Original Content, Pepito Produzioni e Movimento Film con Rai Cinema e con il contributo della Calabria Film Commission e distribuito da Medusa Film, è tratto dall’omonimo romanzo di Paola Barbato. Quello che stiamo vedendo al cinema è un noir che si interroga sulla nostra vera natura, sulla violenza che alberga in noi, su quanto siamo predisposti a scatenarci contro il prossimo. Mauro Mancini, che gentilmente ci ha concesso quest’intervista, dirige un film teso e crudo, da vedere.
Mauro, com’è nata l’idea di questo film? Tutto è partito dal romanzo della Barbato. I produttori del film hanno acquistato i diritti e mi hanno coinvolto nel progetto. Devo ammettere che mi ha colpito molto il romanzo, soprattutto l’azione legata ai combattimenti – normalmente in Italia capita sempre meno di vederli in un film – e i punti di contatto che aveva con il cinema dalle tematiche sociali, morali e civili legate alla società. Il libro si prestava tranquillamente al cinema.
Protagonisti indiscussi sono Davide e Minuto. Per loro c’è un prima e un dopo. Come li descriveresti? Sono due persone che tendono a rimanere chiuse nel loro guscio perché non pronte a capire la propria vera essenza, tendono a rimanere “protette” nella propria isola come chiuse in se stesse. Nascondono un passato scomodo costituito da assenze. Accadrà qualcosa che porterà l’uno in contatto con l’altro. Davide è come se fosse un deserto, una sorta di tavola bianca su cui ancora si può dipingere tutto, mentre Minuto è un paesaggio sottomarino, in totale apnea.
Racconti una storia di padri e figli che tentano un riscatto dai loro errori. In che modo racconti l’essere figlio e l’essere padre? Questa è una tematica per me molto sentita. Noi padri cosa possiamo lasciare alle nuove generazioni? Quale lascito morale? Nel film, la scena della cena credo possa riassumere tutto questo: un figlio e una figlia ascoltano un padre che, tra le varie difficoltà, ha perso già una figlia, il tutto passando dalla commedia a toni più drammatici.
Quella che racconti è una storia con pennellate di rosso e di verde. Perché proprio questi due colori? Sono due colori complementari. Il rosso è caldo, come Davide che pulsa, respira, agisce per sopravvivere ai combattimenti. Il verde è freddo come Minuto che è glaciale. Devono stare però insieme perché si completano. Ricordo di aver rivisto “Paris, Texas” in cui emergevano proprio questi due colori, a dimostrazione di come il cinema possa dialogare sempre con il cinema.
Sono diverse le tematiche affrontate. Secondo te, siamo predisposti a fare il male o ci viene insegnato nella società in cui viviamo? Credo che nessuno di noi nasca cattivo, semmai in cattività dove viene persa l’umanità in territori come Gaza e l’Ucraina; può accadere che il mare venga subito e che malvagi lo si possa diventare. Oggi siamo some assuefatti dal male, un male così presente che ci porta ad esserne assuefatti.Ci riguarda tutti, nessuno è esentato.
Siamo in grado di cambiare davvero noi stessi e redimerci o siamo condannati a essere per sempre prigionieri di ciò che siamo e del nostro destino? Dobbiamo usare tutte le nostre forze per spezzare la catena. Non ci sono sempre i pro o i contro di qualcosa, non esiste solo il bianco o il nero ma infinite sfumature di grigio, non esiste sempre il sì o il no. La verità sta nel mezzo.
La nostra è una società priva di empatie per te? Non credo proprio, chiunque può essere empatico. Certamente per cambiare l’oscurità, credo sia importante trovare la luce dentro noi stessi e tirarla fuori.
Hai affidato ad Alessandro Gassmann e a Francesco Gheghi i ruoli principali. Perché scegliere proprio loro? Con il primo c’è un rapporto artistico di vecchia data con il quale condivido la stessa idea del mondo; ho un’affinità elettiva con lui non da poco, motivo per cui ci divertiamo molto a lavorare insieme. E’ un attore straordinario che ha tutta la mia stima e fiducia. Con il secondo, posso dire che credo che sia il più bravo della sua generazione; non è eccessivo e con poco rende tantissimo riuscendo a tramettere infinite emozioni. E’ in grado di trasmettere fragilità e forza.
Cosa speri arrivi al pubblico del film? E’ un film diverso dal solito. Mi auguro che, uscendo dalla sala, il pubblico sia affamato di riflessioni e domande e anche un po’ stordito. Inoltre spero che passi due ore di intrattenimento perché il cinema è anche questo.