Massimo Donno La Spada e L'incanto
C’è una linea sottile che separa la celebrazione dalla retorica, l’ispirazione dalla replica, il gesto artistico dall’omaggio ornamentale. La Spada e l’Incanto, nuovo disco di Massimo Donno, attraversa questa linea con consapevolezza, scegliendo la via più impervia: quella dell’interpretazione profonda. Prendendo il Cantico delle Creature di San Francesco come grimaldello per aprire lo scrigno del nostro tempo, Donno non lo mette in musica (come tanti prima di lui hanno tentato), ma ne ricava un alfabeto emotivo e poetico, un “codice sorgente” con cui interrogare l’umano di oggi. Non c’è qui la santificazione edulcorata del poverello d’Assisi, ma una sua reincarnazione nella carne ferita del presente.
Il disco, che cade nell’ottavo centenario del Cantico, è il frutto maturo di un lungo processo creativo che ha cambiato lo stesso autore, come lui stesso ammette. E si sente: c’è qualcosa di trasfigurato nella scrittura di Donno, che qui appare più lirica ma anche più affilata, come se ogni parola dovesse passare attraverso il setaccio della necessità. La spada e l’incanto, appunto: due forze che convivono in tensione, in equilibrio mai pacificato, come lo sguardo francescano che abbraccia il lupo e ammonisce l’avidità dell’uomo moderno, che prima lancia le bombe e poi costruisce parchi della memoria.
Musicalmente, siamo in un Mediterraneo interiore, non da cartolina: contaminato, stratificato, solcato da suoni diasporici. L’organetto di Riccardo Tesi – mai folclorico, sempre narrativo – dialoga con le percussioni globali (tabla, kalimba, bongos), mentre l’elettronica, sempre discreta, non fa da contorno ma da contrappunto. Il risultato è un impianto prevalentemente acustico ma cangiante, a tratti visionario. Si ascolta la voce profonda della terra, ma anche i sussurri del cielo.
E poi ci sono gli ospiti, che non sono semplici featuring ma presenze scelte con rigore: Maria Mazzotta, Rachele Andrioli, Cesare Dell’Anna, Mino De Santis, Alessio Lega, Redi Hasa. Ognuno entra nel disco con la delicatezza di chi sa che qui si gioca qualcosa di sacro. Colpisce, ad esempio, il remix finale di Terra firmato Ashéblasta: è una chiusura che apre, una ferita che pulsa elettronica, una sintesi tra radice e futuro.
In questo disco, Donno non canta San Francesco: canta con San Francesco. E lo fa da uomo del nostro tempo, parlando di lavoro e guerra, di migrazione e solitudine, senza mai perdere di vista la bellezza come possibilità, come resistenza, come atto politico. Un disco che non cerca la bellezza nel mondo ideale, ma la rintraccia nelle crepe dell’esistente.
La Spada e l’Incanto è, in fondo, un atto d’amore e insieme un monito. Come direbbe Franco Arminio, è “un cantico per le creature umane”, dove l’incanto non è evasione ma arma. Ed è proprio lì, in quella tensione, che questo disco trova il suo punto più alto. E necessario.
recensione a cura di Francesco Spadafora

