
FABRIZIO FERRACANE in tv e al cinema
Prodotta da Cattleya – parte di ITV Studios – in collaborazione con Rai Fiction e in collaborazione con il ministero della Cultura-Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, in queste settimane stiamo vedendo su Rai1 GERRI di Giuseppe Bonito, la serie tv tratta dai romanzi di Giorgia Lepore con protagonisti Giulio Beranek e Valentina Romani. Non solo indagini ma anche molta introspezione per il nostro Gregorio Esposito, detto Gerri, ispettore affascinante dall’animo inquieto con un passato doloroso. Al suo fianco un’eccezionale vice ispettrice Lea Coen che sta subendo il fascino di Esposito. Tra i protagonisti troviamo il sempre bravo Fabrizio Ferracane nel ruolo di Alfredo Marinetti, il dirigente della Terza Sezione della Mobile, nonché capo di Gerri. Il noto attore è anche protagonista de LA GUERRA DI CESARE di Sergio Scavio dal 22 maggio al cinema, una favola sociale sul tema del lavoro, una piccola storia che parla di amicizia, di ribellioni fallite e di riscatto in una Sardegna di provincia e di miniere di carbone abbandonate, ai giorni nostri. Ne abbiamo parlato proprio con Fabrizio Ferracane.
Partiamo da “Gerri”, cosa ti ha portato a dire sì?
Mi è stato proposto il personaggio da Giuseppe Bonito con il quale avevo già lavorato ne L’arminuta; l’ho sempre stimato per la delicatezza, la sensibilità e il suo saper sempre ascoltare. Alla prima lettura, la storia aveva già un enorme potenziale di bellezza con lo sguardo dei bambini sugli adulti, qualità non di poco conto. Il cast era ricchissimo e ogni personaggio aveva molteplici sfumature.
Sei Alfredo Marinetti, come lo descriveresti? E’ un essere umano, non un superuomo. Ha i suoi dubbi, le sue paure, le sue giornate no ma anche le sue luci e le sue gioie; indossa l’abito della non certezza. E’ un uomo con la sua complessità, diviso tra il suo lavoro da dirigente della Terza Sezione della Mobile e la sua famiglia. E’ un giusto.
Per lui chi è Gerri? Rivede se stesso da giovane in lui, ovvero colui sempre sul pezzo, il primo ad arrivare, il giovane non indifferente. E’ quel “figlio acquisito” e mai avuto biologicamente, è il padre che non è mai stato.
Sei anche al cinema con “La guerra di Cesare”. Dire sì a Sergio Scavio, perché? E’ un film di due produzioni indipendenti. Mi è molto caro questo film perché tratta di tematiche molto delicate come la crisi sul lavoro e un’amicizia che resiste nonostante tutto e tutti. E’ una storia potente che doveva essere raccontata. Approfitto di questo dialogo per dire che purtroppo oggi il cinema sta morendo, un gran numero di maestranze non sta lavorando e abbiamo una politica totalmente assente.
Tu sei Cesare. Come lo descrivesti? Siamo molto simili in alcune caratteristiche. E’ silenzioso, scruta e osserva. Ha circa cinquant’anni, di cui ventisei spesi nell’impresa mineraria di cui è ancora dipendente. L’estinzione del giacimento lo porta a mansioni sempre più umili fino ad essere ricollocato nel ruolo di guardia giurata all’interno della miniera. In questo lavoro decisamente inutile – il giacimento è improduttivo da anni – è affiancato dall’amico Mauro. Cesare è sposato con una donna che ha amato molto in gioventù, ma il lento incrinarsi di tutto – il lavoro, la vita del paese, la loro relazione senza figli e l’amore per la danza che adora praticare e insegnare – ha finito con lo spegnere quel sentimento.
Quale guerra combatte Cesare? Cerca di trovare un senso ad ogni giorno che passa, cerca di trovare serenità rientrando alla sera, si sforza a credere che un mondo onesto possa esistere. E’ umano e dotato di una forte sensibilità.
Potremmo definire questo film una favola sociale? Per quali motivi? Certamente sì. Questo film racconta la solitudine delle persone e di come queste cerchino di andare oltre. C’è tutto il desiderio della favola, la passione con l’importanza delle proprie radici.
Il riscatto per Cesare e per tutti coloro che perdono il lavoro dovrebbe essere sinonimo di? Cambiare il punto di vista e guardare in modo diverso tutto ciò che ci circonda.
Nuovi progetti? Due serie tv, ovvero “La linea della palma” e “A testa alta”.