
Verona, "Guet Ndar. Il mare, la nostra vita.
L’occasione: le giornate Europee dell’Archeologia 2025. Il luogo: il Museo Archeologico nazionale di Verona. E’ qui che oggi alle 18:30 sarà inaugurata la mostra fotografica dell’artista senegalese Abdoulaye Touré “Guet Ndar. Il mare, la nostra vita“: un viaggio temporale, spaziale ed emotivo lungo 13 scatti che ritraggono una comunità di pescatori, di esseri umani che traggono lingua vitale dalle acque che lambiscono la loro terra, acque che nel corso degli anni sono diventate un nemico per la stessa sopravvivenza della popolazione. Un rapporto simbiotico che si nutre nella quotidianità di gesti ereditati dal passato e di equilibri delicati, sempre più minacciato dalle erosioni delle coste e dalla miopia arrogante del potere, di quanti prendono decisioni sulla pelle di individui impotenti nel difendere se stessi e le proprie idealità ben diverse da coloro che ritornano dopo esperienze di migrazioni in Europa con idee di rinnovamento e progresso molto lontano dalle origini.
Guet Ndar è uno dei quattro quartieri balneari della Langue de Barbarie, una lingua di sabbia situata nella regione di Saint-Louis. In questo piccolo villaggio di pescatori è nato Abdoulaye Touré, che con le sue immagini ci porta a scoprirne i riti, le tradizioni, la cultura che ne plasmano un’identità che rischia di diventare passato irrecuperabile, da visitare in un museo archeologico, messa a rischio dalle conseguenze dell’inquinamento ambientale e dalle logiche di modernità.
Un po’ di storia ci aiuta a capire l’importanza di ciò che Touré ci vuole suggerire catturando attimi di esistenza, prove tangibili di un altro mondo (im)possibile che, seppur lontano migliaia di chilometri, ognuno di noi contribuisce a modificare con i propri comportamenti.
Saint-Louis (per i nativi del popolo Wolof Ndar) fu fondata dai francesi e conserva tracce delle conseguenze del colonialismo europeo. Si trova su un’isola alla foce del fiume Senegal. La sua posizione strategica ne consentì un rapido sviluppo come centro per il commercio di schiavi e gomma arabica tanto da diventare nel 1840 capitale del paese fino al 1957. Meta di soggiorni particolari, come quello di Antoine de Saint-Exupéry, l’autore del “Piccolo Principe”, nell’Hotel de La Poste.
L’isola dal 2000 è sotto l’egida Unesco. Il quartiere Guet Ndar è sorto a ovest del fiume sulla sabbia della “Langue de Barbarie” che lo separa dalle insidie dell’oceano Atlantico. Proprio la vegetazione ricchissima di fichi d’India (figues de Barbarie in francese) attirò i primi coloni europei.
L’ambiente geofisico, con la presenza di acqua dolce e oceano, la rendono un habitat magnifico per la riproduzione di varie specie di volatili, fornendo rifugio a numerose specie di uccelli acquatici come sterne, gabbiani, aironi, garzette, cormorani, pellicani, aquile e centinaia di altre specie, omaggiate nel santuario degli uccelli del Parco di Djoudj, terza riserva al mondo per importanza e offre condizioni ottimali appunto per la pesca.

Da qualche anno però la natura reagisce alle aggressioni umane e per i pescatori della regione le alternative sono poche e dolorose. 3200 persone sono rimaste senza dimora a seguito delle devastazioni causate da due mareggiate violentissime nel 2017 e nel 2018. La comunità di Saint-Louis deve fare i conti con eventi climatici estremi di questa portata sempre più frequenti. Gli aiuti internazionali offerti, come quello dal presidente francese Macron o quello della Banca Mondiale, hanno come contropartita per i pescatori il trasferimento nell’entroterra: in altre parole cambiare completamente stile di vita e identità. Le comunità locali quindi si trovano a subire le conseguenze di un fenomeno come quello delle inondazioni e dell’erosione delle coste di cui non sono responsabili, subendo, senza avere diritto di parola, decisioni prese proprio da Paesi come quelli europei che alimentano giorno per giorno l’emergenza climatica, in forza di uno strapotere economico apparentemente inarrestabile.
Grazie allo sguardo attento e curioso dell’artista la comunità si riappropria del proprio diritto ad esistere o almeno ad essere vista, ascoltata attraverso gesti, volti, mani, oggetti che parlano e indirettamente protestano. La presenza in un museo che conserva e offre alla vista reperti del passato è uno spunto di riflessione seria su quanto può diventare rapidamente archeologia grazie al nostro (dis)impegno.
Le fotografie rimarranno in esposizione al museo fino al 6 gennaio 2026. A progettare la mostra il Museo Archeologico Nazionale di Verona, sotto la Direzione Regionale dei Musei del Veneto, con la collaborazione di Contemporanea Contemporanei Project all’interno dell’iniziativa culturale KÓRA.