Verona Risonanze 2025

Il luogo è quello giusto: quel Teatro Filarmonico che il 5 gennaio 1770 ospitò il primo concerto a Verona di Wolfgang Amadeus Mozart. Anche la data della giornata di apertura del Convegno internazionale di musicoterapia in programma il 3 e 4 ottobre non poteva essere più significativa: per una coincidenza che vogliamo leggere come promettente, mentre le piazze d’Italia si mobilitano e fanno rumore per riportare l’attenzione su Gaza e sui volontari della Flotilla, arrestati dall’esercito di Israele, esperti di musicoterapia nazionali e internazionali condividono con il pubblico presente spunti e prospettive sul potere aggregante e generativo della musica, come anticipato già dal titolo “Risonanze. Comunità sonore per vivere meglio“. Si può allora sognare o operare perché, come accade nella sala del teatro grazie alle interazioni sonore avviate da Mauro Faccioli, Stefano Baroni e Albert Hera, si diffondano sempre più pratiche di occupazione della spazio attraverso la musica non più vista solo come prodotto estetico, creato da professionisti, e accessibile a pochi, ma come pratica di uno stare insieme che vuole creare benessere e abbattere barriere e stereotipi, e curare anime e corpi, individuali e sociali.

L’idea nasce all’interno del progetto Proben, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca nel 2023 con l’obiettivo di contrastare i fenomeni di disagio psicologico ed emotivo tra la popolazione studentesca, reso impellente dalle conseguenze sociali dovute all’isolamento obbligato nei lunghi mesi della pandemia da Covid 19, e dalla necessità di intervenire per arginare il fenomeno dei suicidi e promuovere il benessere psico-fisico degli studenti e delle studentesse universitarie e delle istituzioni AFAM (Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica).
A presentare il progetto Proben Francesco Sulla, ricercatore in Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione dell’Università di Foggia, capofila della cordata di atenei che hanno partecipato all’iniziativa. Quattro le università coinvolte (Verona, Bolzano, Roma, Molise e i conservatori di Foggia e Verona). Sarà poi Paolo Caneva, professore di Musicoterapia del conservatorio statale “E.F. Dall’Abaco a spiegare l’apporto veronese al Proben).
Proprio il prof. Sulla, Responsabile Scientifico del progetto ha presentato le modalità di implementazione del progetto presso l’Università di Foggia e parte delle attività intese a raccogliere dati attendibili per profilare la situazione di partenza e poi agire per aumentare il benessere della popolazione studentesca messo a rischio da fattori quali stress, ansia, insoddisfazione, isolamento e dipendenza da smartphone.
Pur mantenendo l’attenzione sulle specificità di ogni realtà universitaria territoriale l’obiettivo sarà quello di creare un dispositivo di analisi dei dati di ricerca prima e dopo la sperimentazione di azioni concrete come ad es. quella dei facilitatori musicali di comunità messi a disposizione dal conservatorio di Verona, utilizzabile anche da altre università e dai conservatori.

L’ispirazione nasce da un cambiamento nel modo di intendere la musicoterapia non più come rapporto individuale tra soggetto paziente e terapeuta ma nell’accezione di Community Music Therapy e quindi pratica di gruppo, dove la comunità è trattata come entità in sé che beneficia dei processi che possono innescarsi dalla pratica di musicking (fare musica insieme): coesione sociale. attivazione di risorse personali, senso di appartenenza e autoefficacia, identità e fiducia. In tal senso la musica, fare musica insieme, come ha chiaramente e coraggiosamente evidenziato (in italiano) Even Ruud (professore emerito dell’Università di Oslo) può essere considerato un “immunogeno culturale” in grado di rafforzare la nostra salute e il nostro senso di connessione con il mondo, consentendo all’individuo e alle comunità di reagire a disturbi come ansia, depressione, insonnia, stress e dolore cronico. Questi che vengono considerati problemi individuali in realtà hanno molto a che fare con condizioni sociali come disuguaglianze economiche, isolamento, perdita di legami sociali, sensazione di non poter incidere nella società o di decidere della propria vita. La musica, sia nella sua capacità di far gestire e trasformare le emozioni che come occasione di incontro fino ad arrivare ad aiutare l’individuo a dare senso, profondità e valore alla propria esistenza, può diventare la risposta al malessere della società contemporanea. In un mondo dove la salute è vista non più come assenza di dolori o malattie, bensì come stato di benessere fisico, mentale e società, il musicking diventa una chiave per ritornare a sentirsi parte di un tutto, connettersi con il mondo. “L’esercizio della musica nei gruppi universitari come strumento di benessere individuale e sociale per tutti gli studenti”, oggetto dell’intervento di Luca Aversano (direttore del Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma 3) è un’ulteriore dimostrazione in tal senso.
Nella community music le esperienze già realizzate e presentate al convegno dimostrano come la musica può favorire l’integrazione, creare legami e rafforzare reti sociali che può diventare servizio pubblico in una logica di intervento olistico che vede in campo musicoterapia, psicologia della salute e sanità pubblica.
Il convegno è occasione per conoscere casi trattati in Inghilterra e in Norvegia, e mettere a confronto diverse posizioni non tanto sull’efficacia della musicoterapia quanto piuttosto come proseguire il trattamento che comincia in clinica al momento del rientro dell’individuo nella comunità di appartenenza, come illustrato da Brynjulf Stige, professore di Musicoterapia presso l’Università di Bergen e Coordinatore del Polyfon Knowledge Cluster for Music Therapy. Stige ha arricchito la giornata introducendo il concetto di cittadinanza musicale e quindi il diritto a fare musica come diritto di ogni cittadino e di ogni comunità perché ognuno riesca a dare qualcosa di sé ottenendone autostima e, attraverso la partecipazione, identità culturale, senso di appartenenza, consapevolezza di poter incidere sull’ambiente per creare qualcosa di bello per sé e per gli altri.


Attraverso i momenti di interazione sonora creati dai facilitatori sonori in sala il pubblico ha avuto esperienza diretta di come vengono a crearsi meccanismi di convivenza serena tra sconosciuti con sollecitazioni di esperti anche rinunciando alla parola. Da qui anche il valore fortemente inclusivo di iniziative finalizzate al fare musica insieme, ad esempio nei cori universitari. L’incontro è stato momento di riflessione sulle problematicità da affrontare anche a livello politico perché, come ha sottolineato la prof.ssa Antonella Coppi, la musica in Italia come la cultura in generale non è accessibile a tutti e anche l’educazione musicale non risulta adeguata nonostante i benefici che quest’arte porta con sé. Eppure la musica come sottolinea la Coppi ha un enorme potenziale di cambiamento sociale, come già scoperto dal maestro Abbado che durante uno dei suoi soggiorni in Venezuela si rese conto della forte valenza del progetto “El Sistema Abreu” e pensò di riprodurlo in Italia, precisamente in Emilia Romagna. “El Sistema” è stata un’esperienza voluta negli anni ’70 dall’allora Ministro della Cultura José Antonio Abreu, che provò a cambiare la società venezuelana attraverso la musica usata come arma di riscatto sociale e partecipazione attiva. Abreu creò centri di ritrovo attrezzati con strumenti musicali dove accogliere bambini e giovani, sottraendoli a tentazioni di devianza diffuse nel territorio. Il modello didattico aveva come obiettivo quello di abbattere o almeno ridurre il divario socio-economico fornendo educazione musicale gratuita e accessibile a bambini e giovani di ogni ceto sociale, in particolare a quelli provenienti da contesti svantaggiati.
Educazione musicale che non verrebbe facilitata oggi dal proliferare di piattaforme musicali quali Spotify, che al contrario avrebbero effetti sociali negativi messi in risalto nell’intervento “Co-creare la condivisione musicale: come e con quali conseguenze?” dalla prof.ssa di Sociologia presso l’Università di Exeter Tia De Nora. La studiosa ha evidenziato il rischio di rafforzare stereotipi e barriere socio-culturali attraverso meccanismi e strategie ormai collaudate dalla rete, sempre più veloce nel mettere a disposizione degli utenti pezzi e musiche coerenti con i gusti preesistenti e negando accesso a brani lontani geograficamente o culturalmente, con il pericolo di una “cultura” musicale sempre più omologata e imposta dall’industria americana. A chiusura della due giorni dedicata alla musica come “bene relazionale” da creare e godere insieme il concerto dell’orchestra Mosaika, formazione musicale multiculturale nata nel 2014.
