
Luigi Melica si candida a rettore di UniSalento
Nella mattina di sabato, nella quiete luminosa della Sala Museale del Rettorato, Luigi Melica ha rotto ogni indugio: «Mi candido a rettore dell’Università del Salento». Con un tono fermo ma disteso, il direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche – costituzionalista di lungo corso, stimato da colleghi e studenti – ha presentato la sua visione per il futuro dell’Ateneo, intrecciando concretezza e coraggio, etica e innovazione.
Non è stato un semplice annuncio. Melica ha voluto che tutto fosse chiaro fin dall’inizio. Ha scelto di autosospendersi dal suo incarico di direttore – pur non essendovi obbligato – per evitare qualsiasi sovrapposizione tra il ruolo di dirigente e quello di candidato. «Non si possono svolgere contemporaneamente entrambe le funzioni – ha spiegato –. Gestire il potere mentre si corre per averne di più non è nel mio stile. È un atto di rispetto verso l’Università, verso i colleghi e verso chi verrà dopo di me».
Il messaggio, anche se non esplicitamente polemico, è chiaro: serve un cambio di passo. L’ateneo, ha detto più volte durante l’incontro, «ha bisogno di visione e decisioni», ma anche di ascolto, partecipazione e trasparenza. Per Melica, il futuro non si costruisce calando soluzioni dall’alto, ma partendo dalla base, dai dipartimenti, dai luoghi in cui la vita universitaria accade ogni giorno. La sua è una proposta di ripartenza dal basso, fondata su un principio semplice ma radicale: la comunità universitaria deve tornare protagonista del proprio destino.
Nel suo programma, ogni parola sembra essere il frutto di un ascolto lungo, paziente, condiviso. Inclusione, benessere psicologico, welfare per il personale tecnico-amministrativo, maggiore spazio all’interdisciplinarità e, soprattutto, un investimento deciso nell’intelligenza artificiale e nelle competenze digitali. «Non possiamo più permetterci un’università ferma, chiusa in se stessa – ha detto –. Il mondo intorno a noi cambia alla velocità della luce. Noi dobbiamo accompagnare i nostri studenti dentro questo cambiamento».
Melica ha parlato a lungo dei problemi che oggi affliggono l’università, come la necessità di migliorare l’accesso alla formazione per tutti, anche per chi, per motivi di salute o personali, non può frequentare in presenza. «Serve una nuova centralità per i corsi telematici, ma senza ridurne la qualità – ha spiegato –. Dobbiamo garantire a ciascuno una possibilità reale di partecipazione».
L’atmosfera nella sala era attenta, raccolta. A tratti, sembrava che Melica stesse raccontando non un programma elettorale, ma una visione culturale più ampia, una prospettiva di ricostruzione, quasi civile, del senso dell’università pubblica. Ha citato i colleghi, i suoi studenti, le battaglie comuni per migliorare il dipartimento, il lavoro quotidiano fatto spesso in silenzio, ma sempre con convinzione.
E ha lanciato anche un messaggio a chi, come lui, si prepara alla corsa per il Rettorato. «Autosospendersi è un atto di chiarezza. Io l’ho fatto. Non si può chiedere fiducia senza prima aver dato l’esempio».
Nell’ultima parte del suo intervento, ha scelto di rivolgersi direttamente alla comunità accademica, con una frase che suonava come una promessa: «Il mio non è un monologo. È un dialogo aperto. Ho ascoltato tutti, e continuerò a farlo. Perché l’università non si governa da soli. Ognuno, ciascuno, aspetta qualcosa. Ed è nostro compito farlo accadere».