
Verona dalle macerie alla rinascita dopo il 1945

Si sperimenta una sorta di straniamento abbandonando piazza Bra’, con i suoi turisti che si godono una breve pausa, seduti sulle panchine o ai tavolini dei ristoranti oppure sugli scaloni dei palazzi circostanti, per entrare a visitare la mostra “Dalle macerie alla rinascita“, visitabile fino al 3 maggio nella sala Falcone Borsellino di Palazzo Barbieri a Verona, promossa dal Comune oggi rappresentato da Jacopo Buffolo, assessore anche per la Memoria Storica e Diritti Umani. Un passaggio repentino dalla contemporaneità della convivenza democratica seppur non perfetta alle tracce di un passato tragico come è stata la II Guerra Mondiale, in particolare dal 1943 al 1945. E forse proprio il brechtiano straniamento (V-Effekt) atto a creare una sorta di cortocircuito tra la realtà così come percepita superficialmente e la sua analisi e comprensione razionale, può essere uno strumento per apprezzare al meglio il valore culturale e sociale dei materiali in esposizione, a cominciare dai rapporti di forza che ci illustrano. Foto, documenti e qualche modellino in 3D ci fanno vedere come la città scaligera ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze della guerra, in particolare i bombardamenti anche da parte degli alleati e come ha reagito l’apparato amministrativo. E proprio come nel teatro epico brechtiano, andando oltre il primo coinvolgimento emotivo e la rassicurante sensazione che la città oggi così nevralgicamente e nevroticamente viva ha superato quei traumi, la ragione e l’analisi dei rapporti di forza ci riportano immediatamente l’eco delle bombe di oggi da paesi non così lontani come si vorrebbe credere.
Un modo forse per proiettarsi anche nell’immediato futuro, sapendo già cosa accadrà alla fine delle guerre a cominciare da quelle a noi geograficamente più vicine tra Ucraina e Russia e tra Israeliani e Palestinesi. Il percorso espositivo, centrato in particolare sul Piano di Ricostruzione che vide protagonista l’ingegner Plinio Marconi, chiamato a ricostruire la città ferita cercando un equilibrio tra richieste edilizie e abitative e necessità di conservazione architettonica e urbanistica, offre al visitatore documenti messi a disposizione dall’Archivio Generale del Comune di Verona. Marconi riprese il precedente piano urbanistico degli anni Trenta e fece i conti con le nuove urgenze. Primo passo per la ricostruzione constatare i danni provocati dai bombardamenti. Il volto nuovo di Verona sarà il risultato anche di compromessi e scelte dovute a quei tragici eventi. Subito una precisazione ad inizio della visita: nonostante le ricerche di testimonianze affidabili, ad oggi non è ancora possibile stabilire con precisione il numero dei bombardamenti. La lista messa a disposizione ne elenca ben 83, a partire da quello del 20 ottobre 1940(!). Già dopo quattro mesi dall’ingresso in guerra dell’Italia nel giugno di quell’anno, infatti, Verona subisce il primo bombardamento. La situazione, come dimostrano i materiali d’archivio, andò logicamente a peggiorare dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Grazie o meglio purtroppo a causa della sua posizione strategica sulla linea del Brennero, Verona divenne il centro logistico e organizzativo del Terzo Reich nella Penisola e di conseguenza uno dei principali obiettivi delle incursioni aeree degli Alleati, tanto da essere dichiarata “città soggetta alle offese belliche” e “area-bombing” nell’aprile 1944 con un’equa suddivisione dei compiti di distruzione tra USAAF (United States Army Air Forces) a cui furono affidati i bombardamenti diurni e RAF (Royal Air Force) per quelli notturni. L’obiettivo, accanto alla necessità di indebolire militarmente il nemico nazifascista, era quello di sfiancare, terrorizzare i civili. Le immagini testimoniano il senso di distruzione totale e mostrano senza equivoci la portata degli attacchi con la distruzione della stazione ferroviaria Porta Nuova, il Lazzaretto, lo stesso Palazzo Barbieri, le stazioni ferroviarie ridotte in rovine e il centro storico. Viene riconosciuto all’amministrazione il merito di aver provveduto o provato a difendere per quanto possibile i civili con la costruzione di rifugi antiaerei. Quantificare la portata della distruzione era e rimane un’impresa quasi impossibile, ma una rapida lettura dei dati lascia immaginare quale compito dovettero affrontare l’ingegner Marconi e l’amministrazione del Dopoguerra, guidata dal sindaco Aldo Fedeli, per la ricostruzione. In base alle testimonianze rese pubbliche dai curatori della mostra tra edilizia privata e pubblica la stima è che su 156mila vani abitativi registrati prima della guerra, 84mila furono danneggiati e 11mila furono distrutti completamente, lasciando circa 19mila famiglie sfollate per strada. Per dirla ancora con le parole dell’intellettuale tedesco “Prima ci sono state altre guerre./Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti./Fra i vinti la povera gente faceva la fame./Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.” Le stazioni di Porta Nuova e di Porta Vescovo, i ponti, la centrale idroelettrica, la diga di Chievo e il canale Camuzzoni erano inutilizzabili; più di metà del centro storico era andato distrutto o danneggiato.
Spazio particolare viene dedicato a luoghi che immediatamente si collocano tra i due poli del percorso, macerie e rinascita fisica e morale: Palazzo Barbieri, il Lazzaretto, il Carcere degli Scalzi oltre che naturalmente i ponti, bersaglio preferito di ogni esercito in guerra. Palazzo Barbieri, sede municipale del Comune di Verona dall’annessione del Veneto al Regno d’Italia, fu distrutto da un incendio innescato durante un’incursione aerea il 23 febbraio 1945, il bombardamento più lungo subito dalla città per ben 27 ore. Nonostante gli sforzi dei vigili del fuoco rimasero in piedi solo le strutture perimetrali. Buona parte dell’archivio storico e contemporaneo andò distrutta. A salvarsi solo ciò che riuscirono a mettere in sicurezza alcuni dipendenti comunali.
Il patrimonio mobile del Comune fu imballato in 150 casse con materiale isolante che vennero poi ricoverate in quattro arcovoli dell’Arena, dove vi rimasero fino al 1947. Palazzo Barbieri venne restaurato dal 1947 al 1950. Ancora una tappa straniante: proprio Palazzo Barbieri ha ospitato la mostra e oggi è la sede municipale. Nelle teche si leggono i carteggi per salvare il Lazzaretto, attribuito all’architetto veronese Michele Sanmicheli e risalente alla seconda metà del XVI secolo. Fiore all’occhiello in Italia per la sua destinazione d’uso come ricovero dei malati per il contenimento di diffusioni epidemiche, situato nella località di Porto San Pancrazio, il Lazzaretto si rivelò di fondamentale importanza durante la peste del 1630 che colpì l’intera Europa per poi essere progressivamente abbandonato. Fu riutilizzato come deposito di polveri e munizioni, successivamente come ospedale militare, accogliendo i soldati colpiti da malattie contagiose e ancora come magazzino di artiglieria ed esplosivi sotto la dominazione austriaca. Sfuggito grazie all’intervento del Consiglio Superiore per le Antichità e Belle Arti ad un tentativo di rimozione del tempietto negli anni ’30 da parte del podestà di Verona che proponeva un ricollocamento di fronte alla stazione di Porta Nuova, il prestigioso ed elegante edificio fu gravemente danneggiato da un’esplosione il 20 maggio del 1945, che causò anche molti morti e feriti. Verso la fine degli anni Cinquanta, in occasione del quattrocentesimo anniversario dalla morte di Michele Sanmicheli, si pensò ad una ricostruzione del tempietto “sanmicheliano” riproponendo le forme originali prima dello scoppio. L’area del Lazzaretto è stata recentemente recuperata dal Comune di Verona grazie alla collaborazione con il FAI.
Sorte meno favorevole è toccata al Carcere degli Scalzi, di cui oggi rimangono solo il muro perimetrale sulla strada e la targa “carceri giudiziarie”, a dispetto del suo valore storico e morale. Adibito dopo l’armistizio a prigione di massima sicurezza per gli oppositori politici al Fascismo, ritenuto inviolabile dal potere dell’epoca, fu testimone di una delle più eroiche azioni della lotta di Liberazione. Il 17 luglio 1944 sei partigiani dei gruppi di Azione Patriottica, Berto Zampieri, Lorenzo Fava, Danilo Preto, Vittorio Ugolini e Emilio Moretto (detto “Bernardino”), guidati dal caposquadra Aldo Petacchi, portarono a termine l’assalto al carcere e riuscirono a liberare il sindacalista Giovanni Roveda, in seguito Segretario generale della Fiom dal 1946 al 1956. L’11
ottobre 1944 l’edificio fu gravemente lesionato a seguito di un attacco aereo degli alleati al centro storico.
Dettagliatamente documentate anche le trattative tra amministrazione e nazisti per salvaguardare i luoghi di valore storico e artistico, come i ponti. Sforzi che si dimostreranno inutili. Nonostante le rassicurazioni sulla salvaguardia dei due ponti monumentali (Castelvecchio e della Pietra), gli occupanti tedeschi in ritirata fecero saltare tutti i ponti di Verona, come risulta da un estratto della relazione redatta dal direttore della biblioteca civica Vittorio Fainelli che provò con altri funzionari a trattare con il Comando delle Forze Germaniche per delimitare una zona neutra in centro storico. Una copia della relazione, inviata al commissario provinciale del Governo Militare Alleato Blackwell, ed accessibile in formato digitale, riporta l’elenco dei ponti distrutti.
In teca anche la testimonianza di provvedimenti per organizzare i ricoveri antiaerei, moltiplicatisi dopo l’armistizio: lo sfollamento, l’oscuramento, l’organizzazione degli allarmi, il mascheramento degli edifici di particolare importanza, l’utilizzo di tecniche edilizie protettive, l’addestramento del
personale per le squadre ausiliarie, la protezione del patrimonio artistico e scientifico, la protezione antincendio e anticrollo, ma soprattutto gli interventi di costruzione e manutenzione dei rifugi antiaerei. Ancora oggi tra le vie della città è possibile individuarne le tracce.
Proprio uno dei luoghi colpiti duramente dai bombardamenti, il museo di Castelvecchio, fino al 27 luglio ospita la mostra interattiva “Fascismo Resistenza Libertà. Verona 1943-1945” a cura di Andrea Martini, Federico Melotto, Marta Nezzo, Francesca Rossi. Un lungo e approfondito studio storico delle tappe che portarono alla dittatura e alla Liberazione, con un occhio particolare anche all’arte fascista.